Prosegue lo speciale dedicato a Santarcangelo 13 con un pezzo di Nicola Villa. Per chi le avesse perse, la prima e la seconda parte dello speciale. (Foto: Ilaria Scarpa.)
Il caso del Festival di Santarcangelo del teatro in piazza è unico: si tratta di un appuntamento internazionale di teatro di ricerca, uno dei più longevi in Italia che quest’anno è arrivato alla sua 43esima edizione, che non affronta solamente il teatro e le sue diramazioni, ma è sempre attento alla vitalità di altre arti contemporanee nel tentativo di contaminare il più possibile i linguaggi. Chi l’ha frequentato in questi anni, non è rimasto stupito allora che quest’anno una mini-rassegna fosse dedicata a due temi apparentemente lontani dal teatro: radio e infanzia.
“Radio e infanzia”, questo il titolo del progetto curato dal co-direttore del festival Rodolfo Sacchettini e esperto della storia del radiodramma italiano, non è stato solo un programma speciale dedicato ai più piccoli, ma un’occasione per riflettere dell’antica alleanza tra teatro e radio. La radio di massa, fin dalle sue origini che sono piuttosto recenti (gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso), ha da sempre guardato al teatro come fonte a cui attingere per la realizzazione di radiodrammi e letture. A Santarcangelo 13 questo rapporto tra i due mondi, questa ricerca nell’infanzia della radio, è stato corroborato da due prime nazionali, due conferenze radiofoniche per bambini (in diretta su Radio 3, ma anche live per il pubblico del festival) che hanno messo in luce due figure importanti sia della prima sperimentazione radiofonica, che della pedagogia.
Marco Cavalcoli, della compagnia Fanny e Alexander, ha dato lettura delle Conferenze radiofoniche di Walter Benjamin. Tra il 1929 al 1932, infatti, Benjamin realizzò delle vere e proprie conferenze rivolte a ragazzini tra i dieci e i quindici anni che sono ancora oggi importanti per capire la radicalità del suo pensiero politico ed educativo. Cavalcoli si è fatto attraversare dalle parole di Benjamin, raccontando storie da Kaspar Hauser a Cagliostro. Alla figura ancora troppo poco ricordata di Janusz Korczak è stato dedicato, invece, Pedagogia scherzosa di Roberto Magnani del Teatro delle Albe: occasione unica per un ascolto pubblico di alcuni testi, tradotti per la prima volta, del grande pedagogo polacco realizzati per la radio negli anni trenta nella forma, oggi inconcepibile, di un programma esclusivo per bambini e ragazzi. La figura di Korczak (allievo di Pestalozzi, il padre della moderna educazione, e promulgatore delle nuove tecniche pedagogiche negli stessi anni della Montessori) è legata all’esperienza della Casa degli Orfani del Ghetto di Varsavia e alla tragica morte, insieme ai suoi bambini, nel campo di concentramento di Treblinka. Le parole del Dottor Korczak, interpretate da Magnani nel giusto spirito energico e assertivo, sono scandalose, ironiche e attuali: si spazia dal catalogo esilarante delle cure delle ferite di gioco, ai severi ammonimenti per diventare bravi cittadini, fino ad arrivare ai messaggi agli adulti perché il bambino è come uno straniero di cui bisogna rispettare anche l’ignoranza.
“Radio e infanzia” non si è limitato a questi due importanti recuperi storici, ma ha anche tentato di dare voce alla sperimentazione contemporanea. Due progetti hanno tentato di ripensare il teatro a partire dalla radio: sono stati il Marmocchio dei Sacchi di sabbia, una specie di Pinocchio riletto in forma di radiodramma e ambientato in una cava di marmo, e Giallo dei Fanny e Alexander, un vero e proprio radiodramma dal vivo realizzato grazie alla registrazione di un laboratorio con dei bambini condotto da Chiara Lagani. L’ascolto pubblico è stato al centro delle giornate del festival, tanto che in collaborazione con il progetto “Piccolaradio” di Radio 3, che sta diffondendo in rete i materiali del passato dei ricchi archivi Rai, è stata allestita una stanza d’ascolto, al centro della quale c’era una vecchia radio, dove si poteva sostare ascoltando una selezione dei radiodrammi per bambini più interessanti dalle origini a oggi. Il festival si è chiuso con un ascolto pubblico molto importante, quasi un rituale officiato dall’antropologo teatrale Piero Giacchè che ha introdotto una versione radiofonica di Pinocchio a opera di Carmelo Bene, uno dei radiodrammi beniani più rari perché realizzato con molti attori negli anni ’70.
L’impressione che deriva da questo Santarcangelo 13 è che teatro e radio condividano un destino analogo: una crisi nei confronti dei rivali mediatici (si pensi all’inquinamento totale delle immagini) e una crisi di idee e di vivacità rispetto ad altri linguaggi. Se è vero che quando parliamo di crisi del teatro facciamo i conti con la storia del teatro, e questa storia riflette una trasformazione radicale della società (chiamatela la nuova tecnocrazia globale) fatta di un uomo/spettatore nuovo ipermediato e mutato (chiamatelo post-uomo), allora una possibile strada di ricerca e impegno oggi può essere il teatro per l’infanzia. Un teatro per i “piccoli” pone da subito una domanda politica e pedagogica, perché il prossimo dello spettacolo non è uno spettatore, non è un simile, né un user iscritto alla stessa comunità, ma è “l’uomo che verrà”.
Oppure, come ha sottolineato Chiara Guida della Societas Raffaello Sanzio in un incontro all’interno del festival, il teatro si è sempre orientato in questa direzione alla ricerca di un’infanzia del teatro, a una domanda autentica e autocritica fondata sull’esperienza non artefatta. Non è un caso che non solo a teatro ma anche nei buoni e utili libri e film dei contemporanei italiani e stranieri, il tema dell’infanzia – e dell’adolescenza – sia sempre più un comune denominatore, un’urgenza pressante. Artisti e opere sembrano interrogarsi sul futuro tentando di rispondere alla domanda ultima, in un mondo ormai irrimediabilmente guastato da merci e profitto, che si faceva il filosofo Baudrillard prima di morire: “perché non è ancora scomparso tutto?”.
Forse questa è la grande opera d’arte dell’umanità: la compresenza dell’istinto di morte e di distruzione (dell’ambiente ad esempio) e dell’immaginazione di un futuro, in ogni nuova vita e nuova nascita. Il teatro salvato dai bambini è quello che propone una visione verticale e non schiacciata sull’orizzontalità della relazione come fa molto nuovo teatro alla ricerca di una nuova committenza sociale. Quel teatro che in sostanza e verità non è nient’altro che un gioco. Un teatro che possa davvero proporre il cambiamento e la crescita di tutti, non solo dei bambini.