Francesco Longo recensisce «Berlino Zoo Station» di Massimo Palma (Cooper editore).
Berlino chiama. Filosofi, rockstar, turisti e giraffe rispondono. Si possono sempre leggere le città come testi, e ognuno può interpretarle semplicemente percorrendole a piedi o scegliendo una panchina da cui ammirarle. Se ogni guida di un luogo offre un’interpretazione nuova, una metropoli come Berlino, città contraddittoria, sdoppiata e ricucita, ha bisogno di tante letture e moltissime versioni per essere sviscerata e vissuta pienamente. L’ultimo libro che scandaglia il senso profondo di questa equivoca capitale è stato scritto da Massimo Palma e si intitola, in modo emblematico, Berlino Zoo Station (Cooper editore, pp. 224, 13 euro).
Bisogna dire subito che questo testo provoca vertigini ed è una guida fedele della città proprio perché di continuo fa smarrire il lettore. Per inseguire le curve a gomito della storia di Berlino, e per restituire i conflitti lancinanti che l’hanno ferita – e da cui è risorta mille volte – si deve, per forza, stordire e disorientare chi legge. Massimo Palma ammette subito che il filo d’Arianna che offre per affrontare questo groviglio di emozioni e di strade è un filo danneggiato. Ecco la tesi spericolata da cui tutto ha origine: «Un filo rosso, spezzato, conduce dal 1991 degli U2 al 1806 di Hegel attraverso eventi apparentemente distanti e protagonisti disparati». Questo sottofondo captato dall’autore sarebbe precisamente uno spirito animale che ciclicamente si fa sentire in città.
Tutto torna in questo vorticoso racconto di Berlino, ricchissimo di aneddoti e pieno di voci. Personaggi mitici, idee e stili di vita si reincarnano in ogni epoca, i quartieri si popolano e vengono bombardati, i berlinesi cambiano divise e umore, la pianta della città si deforma e viene riscritta, un giorno Kennedy pronuncia la storica frase Ich bin ein Berliner!, un giorno il Muro che l’aveva umiliata si sfarina, e un giorno ancora gli U2 sbarcano qui per inspirare la febbre di novità che la rese, negli anni Novanta, una città di culto. Cantieri, ristrutturazioni, transizioni e demolizioni. Eisenman traccia una linea, Libeskind scolpisce il tempo. Nel cielo sopra Berlino, appena fuggono i nemici accorrono schiere d’angeli.
Pronti a sbalzi temporali e a virate improvvise, si può salire su questo libro e lasciare che Berlino mostri, coi suoi quartieri moderni, con le sue vie gremite di teatri e caffè o attraverso i suoi abitanti stralunati – punk, turisti o neonazi che siano – lo spirito multiforme che la eccita.
«Da due secoli chi va a Berlino – nota Palma – ti racconta il suo zoo». L’ossessione degli animali, da cui l’autore è posseduto, appare una buona chiave per scoprire la città. Nel novembre 1991 gli U2 pubblicano l’album Achtung Baby, registrato in buona parte a Berlino e la prima canzone si intitola Zoo Station. Nel 1978 una ragazzina di sedici anni, Christiane F. racconta senza reticenze proprio la storia della Zoo Station, nel libro scioccante e tragico Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino (Rizzoli). Walter Benjamin, nelle sue memorie dell’infanzia berlinese, ricorda con malinconia i suoi giri allo zoo e definì quel luogo «profetico». È a Berlino che Hegel scrive la Fenomenologia dello spirito e intitola una parte Regno animale dello spirito. Ma forse, la volta in cui l’animalità della città si è materializzata nel modo più incontrovertibile, fu sul finire della guerra, quando, nella primavera del 1945, una bomba colpì lo zoo, e zebre, giraffe e lontre invasero la città.
Filosofia e urbanistica, letteratura e arte. Ma è soprattutto la musica a dare ritmo a queste pagine. È per questo motivo che Palma, inseguiti tutti quelli che sono stati ammaliati dal fascino torbido di Berlino, da Bertold Brecht a David Bowie, da Wim Wenders a Carl Schmitt, arriva a scrivere che, di fatto: «La canzone Zoo Station è la sintesi prodigiosa di due secoli».
La Berlino raccontata in Berlino Zoo Station è stratificata, carica di suggestioni e citazioni, sconvolta dalla storia e sanata dalla cultura, è una gabbia brillante che avvinghia tutti gli avventori che la vogliono toccare e che cedono ai suoi infiniti travestimenti (la città pare affetta da veri e propri disturbi della personalità). A Berlino tutto convive e tutto si fronteggia. Trasgressive creste punk e tunnel sorvegliati, rave micidiali e flâneur con occhiali da sole. Si alternano inedia ed euforia, coercizione e gente nuda nei parchi. Berlino è «un immenso parco giochi all’aria aperta» ma è insieme la città dove possono sbucare le teste rasate. Tutto è lecito a Berlino. Cibo, sesso, topi. Tutto la feconda. Sale da concerto, luna park, hotel lussuosi. Città «a cavallo tra oriente e occidente, tra Ottocento e Novecento, tra la perdizione e la gioia di vivere», Berlino è definita perfettamente da Massimo Palma con una serie di opposizioni, tra cui molte definizioni azzeccate e lapidarie come, inevitabilmente: «connubio di spiritualità e istinto animale».
Bellissimo leggere queste pagine e vedere la città mutare nel tempo («nel ’63 Kennedy si diceva berlinese perché libero, nel ’77 Christiane e Babsi si dicevano berlinesi perché dipendenti»). Ipnotico, vedere i locali aprirsi, e le atmosfere annerirsi come il cielo: «Nei giorni della primavera del ’45, invece, la normalità del Ku’damm non erano le droghe, ma le bombe».
I luoghi straziano sempre per ragioni irrazionali e per il resto, si passa il tempo a cercare le cause di un’inarrestabile passione. Le migliori guide di città non consigliano mai nulla, sono dichiarazioni di dipendenza scritti da autori stregati da atmosfere, parchi o scorci, basti pensare a quei tormenti del cuore che sono Trieste o del nessun luogo (il Saggiatore) di Jan Morris, o Praga magica (Einaudi) di Angelo Maria Ripellino .
In bilico tra tristezza e speranza, Berlino e il suo vigore bestiale attraversano il tempo. Come la città che descrive, anche Berlino Zoo Station presenta aree più cupe e pagine più spensierate e ci si perde, tra coincidenze, date, suggestioni, sovrapposizioni e rimozioni: per andare agli Hansa Studio dove gli U2 registrano il loro disco, si passa davanti a casa di Hegel. Col tempo, ogni evento del passato diventa un’avvisaglia del futuro. Le basette di Hegel e i divi del rock condividono gli stessi marciapiedi, bevono le stesse birre, scansano abissi simili.
Mentre le Trabant (icone del passato) circolano all’infinito, tra il Museo ebraico, lo zoo, Potsdammer Straße o Alexander Platz, si assiste ad un eterno ritorno di hegeliane anime belle. La città tetra, ottocentesca, bombardata, spezzata e risaldata è oggi fusa nel fumo speziato dei barbecue multietnici. Utopie di archistar e relitti della Storia mostrano trame sotterranee che non nascondono mai la vera natura di Berlino: una palude abitata da orsi dove inizia di continuo una nuova belle époque.